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DEPRESSIONE NEMICO INVISIBILE |
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Chiamata
anche malattia della volontà, perché la annulla. La depressione è un
avversario duro. A volte durissimo. Oggigiorno, però, sempre di più sono
le esperienze di guarigione: come al passaggio di un’eclissi, dopo il
"male oscuro" torna a risplendere il sole. Ebbene,
le malattie degli esseri umani possono suddividersi in due categorie: la
prima, quella della malattie del corpo, alla seconda categoria
appartengono le malattie della mente. Queste sorgono dai tre veleni
< avidità, collera e stupidità >,
e ne esistono 84.000 varietà,
(Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 5, pagg. 73-74) Tristezza,
cattivo umore, mancanza di gioia. Sono questi alcuni dei sintomi della
depressione, una malattia
reale, ma al tempo stesso soggettiva. E ancora: pensieri neri, una cappa
di piombo pesantissima, il futuro che si presenta come un’interminabile
distesa grigia che fiacca le gambe. Affrontare il giorno, neanche a
pensarci, perfino le più piccole incombenze sembrano difficoltà insormontabili.
Andare alla posta, fare la spesa, passare dal meccanico:
un’impresa titanica per chi si sente una nullità. E soprattutto l’angoscia, i sensi di colpa, la perdita d’interesse per tutto quanto. Una sofferenza sorda e lacerante che impedisce di vivere normalmente o, almeno, in maniera accettabile. Qualcuno l’ha chiamata "iceberg depressione" perché, proprio come nelle montagne di ghiaccio, la parte più massiccia e insidiosa è sommersa. Dato che
affligge la sfera mentale non veniva riconosciuta come malattia, se non
nei casi gravi, ma come una predisposizione, il frutto di un carattere malinconico e apatico cui non si può porre rimedio. O, peggio ancora,
come una mancanza di volontà da parte di persone viziate che sì,
soffrono, ma tutto sommato preferiscono crogiolarsi nel proprio dolore
piuttosto che scuotersi e farsi coraggio. Ma
la sindrome depressiva, al pari di altre malattie, può colpire chiunque
in maniera più o meno grave. Anche persone che hanno una vita soddisfacente
ma che, senza saperlo, sono forse "predisposte". L’origine della depressione, come di altre malattie della mente, va ricercata in uno squilibrio tra le componenti della vita:
gli attributi fisici e spirituali, il corpo e la mente di un individuo non
interagiscono e influenzano
reciprocamente gli altri e l’ambiente. Un esempio per capire brevemente: attraverso la vista e l’udito (due dei cinque sensi che
fanno parte della "forma") mi rendo conto che una moto mi sta
venendo incontro lungo la strada (percezione). Valuto se rappresenta un
pericolo o meno (concezione). Quindi, magari, mi sposto per mettermi al
sicuro (volizione). Perché ho tratto che è opportuno non trovarsi sulla
traiettoria di una moto in corsa (coscienza). Uno squilibrio in questo
meccanismo di interazioni potrebbe portare sia a sottovalutare il
pericolo, sia a spaventarsi in maniera esagerata. Piccoli squilibri di
questo tipo possono succedere tutti i giorni. Nel caso della depressione,
però, caratterizzata da una percezione distorta del mondo e del tempo
(per il depresso tutto è nero e ciò non cambierà mai), si potrebbe
azzardare l’ipotesi che alla concezione , magari già alterata, non
segua nessuna volontà e le cinque componenti non si trovino quindi in
equilibrio. Ma il meccanismo nella realtà non è così chiaro e lineare
come nell’esempio. Nel
mondo, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS),
circa 330 milioni di persone soffrono di depressione, anche se il 90 per
cento di loro non riceve cure adeguate. Ma i dati reali sono senza dubbio
più alti: in occidente, infatti, non sempre ci si rivolge a un medico per
la cura e nei paesi orientali questa malattia viene diagnosticata di rado.
Arthur
Kleinmann, un professore di psichiatria e antropologia all’università
di Harvard, sostiene che in Cina, dove ha condotto delle ricerche,
l’idea della depressione deve essere ancora accettata: "Chiedete ai
cinesi se si sentono depressi e per lo più non capiranno neanche cosa
vuol dire quella parola". A questo quadro vanno aggiunti i casi di
suicidio attribuibili ogni anno alla depressione che, secondo l’OMS,
sono 800 mila. Non solo: entro il 2020 la depressione potrebbe diventare
la seconda malattia debilitante al mondo, preceduta solo dalle patologie
cardiovascolari. (L’Espresso, n. 2, 1999). Oggi
non esistono analisi che accertino la depressione; e i medici si affidano a
un elenco di sintomi. E con questo termine, usato superficialmente, si
finisce per intendere la tristezza occasionale. Ai fini pratici, comunque, non è fondamentale sapere quale sia l’origine esatta della sofferenza. Piuttosto bisognerebbe saper distinguere tra depressione e tristezza: mentre la prima è una malattia vera e propria, la tristezza è uno stato d’animo comune a chiunque. E si può ricordare anche che la tristezza è considerata uno dei dieci eserciti del demone, ovvero una delle funzioni distruttive che sono presenti nella vita di ognuno. I
buddisti specificano
che la tristezza non è un
karma: "Oggi in molti usano la parola karma per indicare tutti i tipi
di sofferenza, ma in realtà la tristezza dipende dallo stato vitale e non
dal karma, che è qualcosa di molto più profondo, e come tale va
interpretata". A
complicare la diagnosi sono spesso i pazienti che non sono molto bravi a
scoprirsi depressi e ancor meno nel parlarne ad altri, per la paura ,
spesso giustificata, di essere etichettati. Dicono semplicemente che si
sentono male, somatizzando una serie di sintomi corporei che i medici
curano con risultati scarsi o nulli.
Nell’opinione pubblica poi, la confusione è grande anche intorno
alle terapie antidepressive all’uso degli psicofarmaci, una confusione
che finisce per nuocere a chi di queste terapie ha veramente bisogno. E il
pregiudizio investe anche i trattamenti psicoterapici, nei confronti dei
quali si incontrano ancora molte resistenze. Secondo
il manuale diagnostico e statistico americano (Mds), la depressione si
manifesta in
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varietà e tre livelli: leggero, moderato e grave. Nel
quadro delle conoscenze attuali esistono delle età a rischio per la
malattia: in testa ci sarebbero le persone anziane. Negli ultimi anni,
poi, sono aumentate le forme depressive tra i giovani (tra i 10 e i 24
anni) e anche tra i bambini, mentre le più colpite rimangono le donne:
secondo i dati dell’OMS una donna su quattro ha avuto almeno un episodio
depressivo. Questa predominanza femminile è spiegata da alcuni studiosi
con il fatto che le donne parlano più facilmente degli uomini della
propria sfera interiore, mentre altri riscontrano nella donna
un’
interazione
maggiore tra ormoni, cervello e comportamento. Genericamente
la depressione, associata all’ ansia e allo stress, è stata indicata
come una malattia della società moderna, ma c’è anche chi sostiene che
si tratta di un male antico quale solo di recente è stato dato un nome.
Serena Zoli, nel suo libro Vivere senza depressione (Tea, 1999)ne
ripercorre la storia e ricorda che era considerata una punizione divina
sia nella Bibbia (Saul cade in uno stato di passività e abbattimento tale
che non riesce più a far nulla, perché "lo spirito dell'Eterno s'era
ritirato" da lui) che nell'Iliade (l'eroe Bellerofonte "solo vagava per
la piana di Aleia rodendosi
l'anima, evitando il passo degli uomini, preso da una disperazione poiché
"era divenuto odioso agli Dei"). Con Ippocrate, il fondatore dell'etica
medica vissuto in Grecia tra il V e il IV secolo a.C., la depressione
viene riconosciuta come patologica ed egli stesso, con estrema acutezza,
arriva perfino a individuarne la natura ciclica. Ma, evidentemente, non
conoscendo i
neurotrasmettitori
del cervello, la riconduce a un'altra sostanza "chimica", la bile: se la
bile nera (cholè mèlaina in greco) è in eccesso provoca la "melanconia".
Quando poi l'impostazione naturalistica dei medici greci e romani lasciò
il passo all'influenza del Cristianesimo, nella cui visione la Colpa
occupa un posto centrale, la sofferenza venne risucchiata
completamente nella sfera della morale. Fino a diventare nel Medioevo
"accidia"
(dal greco a-kedos: senza cura, mancanza di interessi), uno dei sette
peccati capitali. E Dante mette all'inferno sia gli accidiosi che gli
ignavi, privi di ogni spirito d'iniziativa. In
un testo fondamentale dell'Inquisizione scritto nel 1486, il Malleus
maleficarum (Il martello delle streghe), si trova una catalogazione
del mal di vivere e di altri disturbi psichiatrici intesi come peccati (e
in molti finiscono sul rogo), mentre l'umanista Marsilio Ficino
battezza "saturnini", figli di Saturno,
i malati di malinconia, spiegando che essa spinge a "investigare
il centro di tutte le cose" ed è caratteristica degli uomini di genio.
Duecento anni più tardi, in Inghilterra, sarà Shakespeare a descrivere
il tormento della depressione nell'Amleto: "Io ho ultimamente, ma
perché non so, perso tutta la mia allegria… e per vero io sono così
aggravato nel mio umore che questa vaga fabbrica, la Terra, sembra a me
uno sterile promontorio". Con
l'Illuminismo settecentesco si gettano le basi della moderna diagnostica,
nell'Ottocento cambiano i nomi e vengono definitivamente seppelliti gli
"umori"
di Ippocrate, mentre nel 1920 compare in psichiatria la parola "depressione". E
nel nostro secolo, infine, si assiste ad un alternarsi di tentativi, volti
a curare principalmente ora la sfera psichica, ora quella organica. La
depressione è una malattia viscida, silenziosa, ma è una malattia come
un'altra: qualcosa dal mondo esterno
colpisce alcuni aspetti della nostra costituzione e un processo
solitamente salutare si trasforma in un problema. Nel cancro è la
crescita delle cellule che comincia ad alterarsi, espandendosi senza
controllo, mentre gli equilibri del corpo crollano. E come il cancro è
una proliferazione maligna, la depressione è un'infelicità maligna,
secondo la definizione di Lewis Wolpert, un biologo inglese che è stato
affetto da questa malattia. Il buddista Eiko Akiyama, parlando della depressione, ricorda le parole del presidente della SGI Daisaku Ikeda che ci dice: "In ogni caso, quando accettiamo di considerare la malattia come la naturale manifestazione di una condizione vitale – sia essa determinata da una disarmonia interna, da desideri terreni o dal karma – allora ciò che più importa è il nostro atteggiamento e la nostra capacità di attivare il potere di guarigione intrinseco alla vita stessa". E di questa malattia dell'anima la maggior parte degli psichiatri sembra orientata a riconoscere non una sola componente – tutta psichica o tutta organica – ma un sommarsi di cause: un certo numero di alterazioni cerebrali, in particolare errori nell'attività dei neurotrasmettitori, provocati probabilmente da eventi esterni scatenanti. Ma non tutti gli individui reagiscono allo stesso modo di fronte a questi eventi e perciò, almeno per la depressione grave, si stanno cercando anche componenti genetiche, che peraltro sono già state escluse dalle forme leggere.
Secondo
Mitsuhiro Kaneda, presidente dell'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai,
il problema è che chi è depresso ha un modo di pensare rigido, poco
flessibile, che segue sempre uno o due schemi mentali. In
poche parole, non sa rilassarsi. In genere si tratta di una caratteristica
presente già da lungo tempo nel modo di vivere della persona, poi un
giorno si manifesta la depressione!!! Il punto veramente
importante - continua Kaneda
– è il seguente: che insegnamento trarre dalla malattia? In primo luogo
è come se si trattasse di un messaggio della nostra parte più profonda
che invita a cambiare modo di pensare e ritmo di vita. Il
depresso interpreta tutto in senso negativo e in quel momento la cosa
primaria per migliorare è
cambiare il modo di pensare fisso, cambiare il ritmo della vita, cambiare
il modo di interpretare le cose.
Si
deve annullare il senso di colpa continuo che assale il depresso – dice
ancora Kaneda – e non far sentire obblighi. Si può consigliare:
<<Se
non te la senti....., non fare...>>
. Nel caso della depressione, è anche utile imparare a pensare
"farò del mio meglio" piuttosto che
"devo fare".
È fondamentale non far sentire l'obbligo. Per
il depresso, che è afflitto costantemente da una cappa di piombo, che
quasi sempre è macerato dai sensi di colpa, qualsiasi obbligo ulteriore
è controproducente. Nella
testa si agitano continuamente pensieri, quasi tutti negativi, e la
persona ormai è abituata a pensare da mattina a sera, magari anche la
notte. Il perciò è trovare il modo di inserire uno spazio libero nella
mente, semplicemente inventarsi un hobby, praticare uno sport o comunque
fare qualcosa di piacevole. Essere saggi vuol dire, in questo caso, trovare
un momento rilassante nella vita quotidiana. O, meglio ancora, prendere
delle contromisure quando si è a rischio, quando si avvertono dei segnali
che portano alla depressione. Cercare di essere subito disposti,
interiormente, a cambiare qualcosa e inventarsi una contromisura. Per fare
un esempio banale: non si riesce a dormire, fare qualche azione concreta
– dalla camomilla al medico – per ripristinare il ritmo del sonno. È
necessario sempre fare attenzione, perché viviamo in una società caotica.
Per
provare soddisfazione profonda nella vita è
necessario non sottovalutare i problemi, ma andare fino in fondo, cercando
di sprecare meno tempo possibile. Non lasciare a mezzo nessuno degli
aspetti importanti della vita di tutti i giorni, per esempio la salute, la
situazione economica, la famiglia, il rapporto genitori e figli.
Altrimenti si finisce per provare un gran dolore. Per realizzare un sogno,
per cambiare un problema dobbiamo affrontarlo fino in fondo, evitando il
rischio di sottovalutarlo.
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